Italians do it cheaper

Ottobre 3rd, 2016 § 3 comments § permalink

A quanto pare la rete non trova pace, nel tentativo di demolire qualsiasi campagna pubblicitaria del Governo. Fresca è la polemica inerente alla brochure prodotta per presentare il piano Industria 4.0, nella quale è presentato come un’opportunità per gli investitori il fatto che in Italia le retribuzioni sono più basse che in altri paesi UE considerati nostri diretti concorrenti.

Apriti cielo. La polemica, riassunta da Repubblica.it è:

E’ un vero e proprio paradosso: un governo che presenta all’estero come “vantaggio” un dato che all’interno, per i cittadini, é un dramma – e tra le prime cause della nuova emigrazione. Che i lavoratori italiani siano pagati troppo poco è un dato politicamente negativo, che chi governa deve impegnarsi a mutare attuando politiche che abbiano come obiettivo quello di dare a tutti, specialmente a chi ha un’alta formazione, opportunità di impiego più eque e dignitose dal punto di vista della retribuzione.

Chiunque abbia ricevuto una proposta di lavoro da recruiters esteri sa che dato un determinato ruolo da ricoprire, il range di compenso dipende in modo significativo dal costo della vita nel luogo di lavoro. E così capita che lo stesso ruolo, in aziende analoghe per fatturato e dimensione, a Berlino valga 55K Euro, a Londra 65K sterline e a Ginevra 100K franchi svizzeri.

D’altro canto, se vi sedete al tavolo di un ristorante a Ginevra, difficile che una bistecca la paghiate meno di 50 Euro. Se vi trasferite a Londra, con il denaro con cui a Padova paghereste l’affitto di un appartamento con generose metrature in centro, difficilmente spunterete qualcosa di più vicino alla City della zona 3, che vuol dire almeno mezz’ora di commuting, nella migliore delle ipotesi. Tutti gli expat hanno iniziato cercando di farsi un’idea di quanto costa un surgelato, un appartamento, un paio di jeans nella città ambita usando numbeo.comQui potete farvi un’idea dei costi al metro quadro degli immobili nelle capitali del mondo. Londra ($34,531) costa il 339% in più di Roma ($7,849).
La battuta di Gasparri sui lavapiatti a Londra poteva suonare denigratoria, ma fotografa un elemento semplice: per una persona con una posizione lavorativa affermata in Italia e un piccolo patrimonio, trovare un’opportunità di lavoro a Londra che consenta il medesimo stile di vita e magari l’accantonamento di qualche risparmio è tutto fuorché scontata, nonostante gli stipendi lordi siano decisamente più invitanti di quelli nostrani.

Parimenti, ingegneri ultra-qualificati che vivono ad esempio in Polonia o in Lituania hanno compensi nell’ordine del 20-25% più bassi di quelli italiani, pur conducendo delle vite altrettanto dignitose. Se pensate che questo sia solo un fenomeno europeo, vi invito a dare un’occhiata a questo grafico:

Sapete dove sono cresciuti parecchio gli stipendi medi negli ultimi 10 anni? A Dublino, grazie all’approdo delle grandi multinazionali che vi si sono stabilite sfruttando la bassa imposizione fiscale, la diffusione della lingua inglese e il costo della vita piuttosto vantaggioso rispetto a quello londinese.

Visto che la brochure del Governo era una pubblicità, la menzogna era comprensibile: l’offerta di “highly skilled workers” non è comparabile con quella dei nostri partner d’oltralpe, i quali hanno buon gioco nell’attrarre anche competenze dall’estero. Coloro che si sono lamentati della brochure governativa tendenzialmente non rappresentano il target di quella comunicazione e dovrebbero farsene una ragione: se c’è un’opportunità per l’Italia di aumentare le retribuzioni senza ridurre gli investimenti è quello di attrarre capitali esteri grazie (anche) al costo del lavoro più competitivo rispetto ai paesi che hanno un costo della vita nordico.

L’esercito dei lavapiatti digitali

Giugno 12th, 2015 § 0 comments § permalink

Alfonso Fuggetta ha recentemente pubblicato un articolo circostanziato sull’italica cronica mancanza di competenze medio-alte nell’ambito IT. La fotografia della situazione è azzeccata, tuttavia l’invocazione finale di un’azione salvifica da parte di un ipotetico pubblico di decisori imprenditoriali e politici mi sembra un po’ ingenua e vorrei provare a spiegare il mio punto di vista con un esempio.

Tra i lavori identificati dalla generica etichetta Core Professionals nel grafico “Composition of the ICT Workforce in Europe” citato da Fuggetta (l’originale a pag. 7 di questo documento) c’è la professione dello sviluppatore di software. La maturity di uno sviluppatore software è sostanzialmente rappresentabile in una scala salariale che mira a retribuire essenzialmente la complessità dei progetti che il lavoratore è in grado di affrontare.

» Continua la lettura «

L’economia degli inutili

Maggio 11th, 2014 § 0 comments § permalink

Di recente ho letto la seguente affermazione, riformulata per maggiore chiarezza:

Quello che conta [nell’economia] è la domanda, se aumentare l’efficienza della Pubblica Amministrazione riduce l’occupazione, si abbasseranno i consumi e di conseguenza la situazione economica peggiorerà.
I forestali assunti in modo dissennato in meridione sono comunque dei consumatori che alimentano il sistema, quindi la spesa pubblica si trasferisce in consumi privati producendo un effetto positivo.

Siccome questo ragionamento è fallace ed è ripetuto piuttosto di sovente da più parti, ritengo utile fare un po’ di chiarezza.

Per capire la fallacia di un qualsiasi ragionamento, il modo più semplice è spesso portarlo all’estremo: se lo Stato assumesse tutti i cittadini italiani a tempo pieno e nessuno di questi producesse un valore tangibile, lo Stato avrebbe solo tre possibilità per pagare loro lo stipendio: vendersi i gioielli di famiglia (ma si tratta ovviamente di misure una tantum che non possono essere strutturali), aumentare l’indebitamento (quindi essenzialmente impoverire le generazioni future) o tassarli al 100%, togliendo loro con una mano quello che dà con l’altra. » Continua la lettura «

Economia dello stupro

Luglio 1st, 2013 § 0 comments § permalink

Dopo l’articolo di Marco Cubeddu sulle ragazzine coi mini-shorts, non si è fatto attendere il comunicato stampa delle femministe che stigmatizzano l’uso del logoro luogo comune:

«Se si vestono in modo succinto, non si lamentino se poi le stuprano»

Manco a dirlo, citano il femminicidio e l’idea che diffondere questo genere di commenti possa favorire le molestie da parte di qualche squilibrato. In realtà, gli omicidi di donne non c’entrano proprio nulla, ma ormai vengono utilizzati a mo’ di jolly quando non ci sono argomenti validi, un po’ come quando gli israeliani citano l’olocausto nelle motivazioni per cui non rispettano le risoluzioni ONU.

Il luogo comune nasce come estensione del principio di precauzione:

«Se girano per i quartieri spagnoli con anelli e bracciali d’oro, non si lamentino se li derubano»

Il punto è che il numero di stupri non cresce di pari passo con gli standard della moda, quindi se esistesse una correlazione tra sconcezza nel vestire ed incentivo alla molestia, esso sussisterebbe se i soggetti che si vestono in modo provocante fossero una minoranza ridotta della popolazione femminile. In un ambiente in cui mostrare scampoli di nudità è la norma, è evidente che non esiste alcun incentivo statisticamente rilevante.
Perciò se le femministe fossero realmente preoccupate che questi luoghi comuni possano influenzare la comunità, dovrebbero incentivare la moda delle zoccole, anziché portare avanti battaglie pudiche. Può sembrare controintuitivo, ma è lo stesso ragionamento che spinge gli economisti a sostenere che una promiscuità sessuale generalizzata ridurrebbe il rischio di contagio.

Tout se tient: Primo maggio

Maggio 1st, 2013 § 0 comments § permalink

Aumenta la disoccupazione.


La disoccupazione dipende dal fatto che l’economia è depressa.


L’economia è depressa da una pressione fiscale troppo elevata.


La pressione fiscale dipende dalla necessità di ripianare un debito troppo alto in proporzione al PIL.


Il PIL, denominatore del rapporto, dipende (anche) dalla produttività delle imprese.


Un giorno di ferie riduce la produttività delle imprese che lavorano a pieno regime¹.


Il PIL cresce un po’ meno.


Le tasse si possono ridurre un po’ meno.


La disoccupazione aumenta.

¹ prima che lo facciate notare, lo so: molte imprese lavorano a singhiozzo perché c’è la crisi. Per quelle non farebbe differenza: ci sono già tanti primo maggio chiamati cassa integrazione. Tuttavia l’Italia che ci porterà fuori dal baratro è fatta di imprese che esportano, che lavorano su mercati globali e che investono in ricerca e sviluppo.

I dieci pilastri della saggezza economica

Aprile 26th, 2013 § 0 comments § permalink

Riporto la traduzione in italiano di un decalogo dei principi base dell’economia di mercato, spesso insegnato nelle università statunitensi. L’autore originale è sconosciuto, tuttavia pare che la prima apparizione di questo testo risalga ad una stampa su 10 placche nella Hall of Free Enterprise dell’esposizione internazionale di New York City del 1964.

  1. Nulla nel nostro mondo materiale può generarsi dal nulla, né può essere gratuito; tutto nella nostra vita economica ha una sorgente, una destinazione e un costo che deve essere pagato — da qualcuno.
  2. Il governo non è mai una sorgente di beni. Tutto ciò che si produce è prodotto dal popolo e tutto ciò che il governo dà al popolo, deve prima prenderlo dal popolo.
  3. L’unico denaro di valore che il governo può spendere è denaro tassato o preso a prestito dai risparmi della gente. Quando il governo decide di spendere più di quello che ha così ricevuto, il denaro extra non guadagnato è creato dal nulla, attraverso le banche o le tipografie e quando viene speso, prende valore solo riducendo il valore di tutto il restante denaro, risparmi e assicurazioni.
  4. Nella nostra moderna economia di scambio, i salari e l’occupazione derivano dai clienti e l’unica forma di garanzia del lavoro è la conservazione dei clienti. Se non ci sono clienti, non ci possono essere salari e lavoro.
  5. Il lavoratore può garantire la conservazione dei clienti solo quando coopera con la direzione nel realizzare soluzioni che conquistino e mantengano clienti. La sicurezza del lavoro, quindi, è un problema di collaborazione che può essere risolto solo nello spirito di comprensione e cooperazione.
  6. Essendo i salari il principale costo di tutto, aumenti generalizzati dei salari senza un corrispondente aumento della produttività semplicemente aumentano il costo della vita di tutti.
  7. Il maggior benessere per il maggior numero significa il massimo dei beni per il maggior numero, che in definitiva significa la più alta produttività per lavoratore.
  8. La produttività si basa su tre fattori: (a) risorse naturali, la cui forma, luogo e condizioni sono cambiate spendendo (b) forza lavoro (fisica e mentale), con l’aiuto di (c) strumenti.
  9. Gli strumenti sono l’unico di questi tre fattori che l’uomo può accrescere senza limiti e gli strumenti entrano a far parte di una società libera solo quando c’è una ricompensa per la porzione di guadagni che le persone devono temporaneamente investire nella produzione di nuovi strumenti anziché utilizzare per produrre confort immediato. Un pagamento adeguato per l’uso degli strumenti è essenziale per la loro creazione.
  10. La produttività degli strumenti, ovvero l’efficienza della forza lavoro applicata in connessione col loro uso, è sempre stata massima nelle società competitive in cui le decisioni economiche erano prese liberamente da milioni di individui alla ricerca del progresso, piuttosto che in società controllate dallo stato in cui tali decisioni sono prese da un ristretto gruppo di persone plenipotenziarie, a prescindere da quanto fossero generose, sincere e intelligenti.