Prendiamo in esame uno strumento basilare del pensiero razionale, il concetto di efficienza:
L’efficienza di un processo è rappresentata dall’andamento della funzione che mette in relazione la dimensione dell’input del processo con la quantità di risorse necessarie per ottenere l’output corrispondente.
Qualora il processo si applichi a dimensioni di input indefinitamente larghe l’andamento della suddetta funzione sarà valutato in forma asintotica, ovvero considerando il comportamento della funzione al limite estremo del dominio che tende ad infinito.
Consideriamo anche il concetto di allocazione ottimale delle risorse applicato all’efficienza:
Siccome un processo tipicamente consuma tipi di risorse diverse (soldi, tempo, spazio, etc.), valutando l’efficienza rispetto alle singole risorse si possono confrontare processi diversi che ottengono il medesimo tipo di risultato al fine di individuare quello che rappresenta il miglior compromesso rispetto alla disponibilità delle singole risorse.
Ovviamente per ottenere un’informazione sull’andamento della funzione di efficienza si può procedere per via deduttiva analizzando le caratteristiche teoriche dei singoli processi o si può procedere per via induttiva, ovvero realizzando una serie di esperimenti.
Noto con un certo rammarico che molti commentatori politici esprimono analisi sulla presunta efficienza o inefficienza economica dei processi di produzione di servizi pubblici o privati senza avere alcuna familiarità col concetto di efficienza. L’errore più comune è prendere un singolo dato puntuale di una certa dimensione di input e del relativo consumo di risorse e inferire da essi l’andamento della funzione di efficienza.
Facciamo un esempio concreto: i sostenitori dell’opzione B al referendum bolognese sui finanziamenti alle scuole paritarie dell’infanzia hanno pubblicato una pagina web i cui dati sono stati ripresi da molti commentatori. Essa esprime il seguente ragionamento:
Alla scuola comunale vanno 5.137 bambini e la scuola comunale costa al Comune 35.000.000 di Euro, ovvero 6.813 Euro a bambino.
Alla scuola paritaria vanno 1.736 bambini e la scuola paritaria costa al Comune 1.000.000 di Euro, ovvero 576 Euro a bambino.
Quindi se diamo quel milione alla scuola pubblica, potrà accogliere al massimo 157 bambini, anziché 1.736.
Questo ragionamento è fallace perché dà per scontato che l’andamento della funzione di efficienza sia lineare, ovvero che il costo per studente rimanga immutato al crescere del numero di studenti, ma è evidente che questo assunto non è desumibile dai dati in questione. Nei 35 milioni di Euro pagati dal Comune alle scuole pubbliche rientrano anche costi generali di esercizio che sono quasi costanti e investimenti per l’aumento dell’offerta il cui ritorno è pluriennale. Per le scuole paritarie gran parte di questi costi, come ci fa notare Marco Campione nel suo post, sono sostenuti da rette private che quindi non rientrano nel computo dei soldi versati dal Comune.
In definitiva, i minori costi delle paritarie non sono necessariamente dovuti a maggiore efficienza, ma sicuramente al fatto che a pagare il conto è qualcun altro.
Prendere quei dati avulsi dal contesto e costruirci sopra quel genere di ragionamenti, senza sapere quanto e come sono utilizzate le risorse spese e qual è il ritorno previsto, è come pretendere di capire la velocità di un oggetto fotografandone un istante. La concorrenza è un bene, ma per misurare chi vince è necessario saper fare i conti.
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