Dopo l’articolo di Marco Cubeddu sulle ragazzine coi mini-shorts, non si è fatto attendere il comunicato stampa delle femministe che stigmatizzano l’uso del logoro luogo comune:
«Se si vestono in modo succinto, non si lamentino se poi le stuprano»
Manco a dirlo, citano il femminicidio e l’idea che diffondere questo genere di commenti possa favorire le molestie da parte di qualche squilibrato. In realtà, gli omicidi di donne non c’entrano proprio nulla, ma ormai vengono utilizzati a mo’ di jolly quando non ci sono argomenti validi, un po’ come quando gli israeliani citano l’olocausto nelle motivazioni per cui non rispettano le risoluzioni ONU.
Il luogo comune nasce come estensione del principio di precauzione:
«Se girano per i quartieri spagnoli con anelli e bracciali d’oro, non si lamentino se li derubano»
Il punto è che il numero di stupri non cresce di pari passo con gli standard della moda, quindi se esistesse una correlazione tra sconcezza nel vestire ed incentivo alla molestia, esso sussisterebbe se i soggetti che si vestono in modo provocante fossero una minoranza ridotta della popolazione femminile. In un ambiente in cui mostrare scampoli di nudità è la norma, è evidente che non esiste alcun incentivo statisticamente rilevante.
Perciò se le femministe fossero realmente preoccupate che questi luoghi comuni possano influenzare la comunità, dovrebbero incentivare la moda delle zoccole, anziché portare avanti battaglie pudiche. Può sembrare controintuitivo, ma è lo stesso ragionamento che spinge gli economisti a sostenere che una promiscuità sessuale generalizzata ridurrebbe il rischio di contagio.