Giugno 2nd, 2013 § § permalink
L’Huffington Post ha pubblicato ieri l’ennesimo articolo sul femminicidio con le raccomandazioni di Rashida Manjoo, relatore speciale delle Nazioni Unite contro la violenza maschile. Ecco l’incipit:
Un’Italia maschilista dove il tasso della violenza contro le donne tocca il 78% e dove le vittime spesso non denunciano e, quando lo fanno, incontrano ostacoli, poco ascolto da parte delle istituzioni, minima protezione e processi lunghi. Un’Italia dove il 53% delle donne che appaiono in televisione non apre nemmeno bocca e il 46% è associata al sesso oppure a prodotti di bellezza, mentre soltanto una donna su quattro (26,5%) considera lo stupro un reato.
Già dopo il primo paragrafo la spia «bufale in agguato» inizia a lampeggiare incessantemente. Decido di risalire alle fonti per capire quali circostanze diano adito a Laura Eduati di sostenere che tre donne su quattro siano cretine patentate.
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Maggio 29th, 2013 § § permalink
Loredana Lipperini scrive un post in cui si accanisce contro quelli che lei chiama i negazionisti del femminicidio, quelli che avrebbero osato mettere in dubbio la gravità del fenomeno usando le statistiche a suo dire in modo improprio. Nel tentativo di ribaltare le conclusioni dei cosiddetti negazionisti, incidentalmente sodomizza la logica deduttiva.
Prendiamo ad esempio la citazione riportata nel post, da cui si dovrebbe desumere che l’allarmismo è giustificato:
Significa, per essere più precisi, che se le morti per criminalità organizzata passano da 340 nel 1992 a 121 nel 2006 e quelli per rissa da 105 a 69 , i delitti maturati in famiglia o “per passione”, che sono in gran parte costituiti da femminicidi, passano da 97 a 192. In altre parole ancora, mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57 per cento circa, i delitti passionali sono cresciuti del 98 per cento.
Se tale aumento giustificasse un tale allarme, inversamente dovremmo essere tranquillizzati dal fatto che le donne uccise nel 2012 è 124 (fonte Casa Donne), ovvero oltre un terzo in meno in soli 6 anni. Come facevo notare in altri post, non è possibile effettuare una valutazione di un trend unicamente su dati puntuali, senza considerare l’andamento della distribuzione nel tempo. E la distribuzione in questo caso ci dice che la varianza nel medio periodo è tale che non è possibile definire un trend univoco.
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Maggio 7th, 2013 § § permalink
Gira sul social network un’infografica sulla spesa pubblica per l’istruzione comparata tra i vari paesi, accompagnata dalla seguente descrizione: «Italia: agli ultimi posti in Europa negli investimenti in cultura e istruzione. I risultati si vedono: tragici. Sotto ogni punto di vista.»
Ottimo per il colpo d’occhio e la viralità, ma fallace nella sostanza: il rapporto “spesa pubblica per istruzione su spesa pubblica totale” non ci dice quanto spendiamo in istruzione, ma quanta parte della spesa è dedicata all’istruzione. Come ogni rapporto dipende da un numeratore e un denominatore, ma rispetto a molti altri paesi europei non è il numeratore ad essere minore, bensì il denominatore ad essere più corposo: in Italia la previdenza pubblica spende in pensioni più di qualsiasi altro paese europeo, complice la durata della vita più lunga.
Se avessimo scelto un indicatore più onesto, come ad esempio quello individuato da Eurostat, cioè la spesa pubblica per studente a parità di potere d’acquisto, scopriremmo che l’Italia è poco sotto la media UE e che Lituania e Lettonia, paesi in cima alla classifica riportata nell’infografica, in realtà spendono la metà di quanto spende l’Italia; l’Estonia, seconda nella tabella dell’infografica, in realtà spende due terzi di quanto spende l’Italia per ciascuno studente.
Una cosa è certa: se perfino commentatori navigati cadono in questi banali tranelli della statistica, evidentemente l’istruzione in Italia non sta facendo un buon lavoro, a prescindere da quanti soldi ci si rovesciano dentro.