Giugno 17th, 2013 § § permalink
Vorrei essere pagato per:
- Fare il bucato: alle persone piace che quando li beneficio della mia presenza io indossi vestiti puliti e profumati, quindi potrebbero pagarmi un contributo per il disturbo e le risorse utilizzate (detersivi, corrente elettrica, ammorbidente, anticalcare, etc).
- Buttare la spazzatura: mi privo volontariamente di materie semilavorate che diventano un valore per le aziende di riciclaggio, sarebbe bello essere ricompensati adeguatamente.
- Starmene a casa: come riporta Paul Krugman, ciascun veicolo che va o torna dal lavoro in ora di punta genera un costo per la collettività pari a decine se non centinaia di Euro, perciò il minimo che possa fare lo Stato è remunerare il mio stazionamento sul divano con un bonifico sul mio conto corrente.
- Avere delle buone idee: Facebook? Io c’avevo già pensato negli anni ’90. Se qualcuno mi avesse pagato per avere delle buone idee, a quest’ora sarebbe ricco.
- Fumare: non sono un fumatore, ma a giudicare dalle statistiche sull’incidenza di malattie mortali connesse al fumo, il fumo è una pacchia per le casse dell’INPS: il picco delle morti coincide circa con l’età della pensione, il decorso è tutto sommato rapido e si risparmiano un sacco di soldi di terapie geriatriche. Se poi ci mettete che fumerei mentre sto a casa sul divano (vedi punto precedente), ci sta pure la sedentarietà che si aggiunge come bonus. In definitiva, se lo Stato risparmia dalla mia dipartita prematura, una qualche forma di revenue-sharing sarebbe il minimo.
- Guardare la TV: le emittenti guadagnano paccate di milioni di introiti pubblicitari che non esisterebbero se non ci fossimo noi telespettatori: è arrivato il momento di corrispondere parte degli utili a quelli che hanno dimostrato un vero impegno a lungo termine nel settore.
- Comprare gratta-e-vinci: il meccanismo dei giochi a premi è veramente iniquo: accettare un rischio a fronte di una probabilità bassissima di vincita, mentre il gestore dei giochi ha un guadagno assicurato è una vera porcata, come minimo se non vinco dovrebbero restituirmi i soldi del biglietto. O almeno darmi un Boero.
Vorrei. Vorrei tanto. Vi giuro, non immaginate quanto lo vorrei. Ma purtroppo l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re e nel mercato libero il valore dipende da domanda e offerta, perciò fatevene una ragione: se nessuno offre niente per quello che sapete fare e non volete fare la fine dei poveracci che guardano la TV tutto il giorno sul divano e spendono i soldi della social card in gratta-e-vinci sperando di cambiare vita, è meglio che cambiate lavoro.
Giugno 2nd, 2013 § § permalink
L’Huffington Post ha pubblicato ieri l’ennesimo articolo sul femminicidio con le raccomandazioni di Rashida Manjoo, relatore speciale delle Nazioni Unite contro la violenza maschile. Ecco l’incipit:
Un’Italia maschilista dove il tasso della violenza contro le donne tocca il 78% e dove le vittime spesso non denunciano e, quando lo fanno, incontrano ostacoli, poco ascolto da parte delle istituzioni, minima protezione e processi lunghi. Un’Italia dove il 53% delle donne che appaiono in televisione non apre nemmeno bocca e il 46% è associata al sesso oppure a prodotti di bellezza, mentre soltanto una donna su quattro (26,5%) considera lo stupro un reato.
Già dopo il primo paragrafo la spia «bufale in agguato» inizia a lampeggiare incessantemente. Decido di risalire alle fonti per capire quali circostanze diano adito a Laura Eduati di sostenere che tre donne su quattro siano cretine patentate.
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Giugno 1st, 2013 § § permalink
Nel libro Public Opinion di Walter Lippmann, pubblicato nel 1922, c’è un capitolo sull’uso delle parole dal quale vorrei trarre una breve ma illuminante citazione:
Le parole, come il denaro, sono simboli di valore. Esse rappresentano un significato, perciò, come il denaro, il loro valore rappresentativo va su e giù. (…) Alcune nazioni tendono costituzionalmente ad attenuare, altre ad esagerare. Quello che il Tommy inglese chiamava un luogo insalubre poteva esser descritto da un soldato italiano solo grazie a un ricco vocabolario, aiutato da una mimica esuberante. Le nazioni che attenuano mantengono solida la loro moneta verbale. Le nazioni che esagerano soffrono di un’inflazione nel linguaggio.
Applichiamo questo concetto ai giorni nostri. Beppe Grillo che non crede di aver offeso Rodotà è sincero nel pensarlo: il valore del suo discorso pubblico è talmente svalutato che se usassimo lo stesso metro di misura per le catilinarie, ormai risulterebbero carezze. Esiste quindi una scissione nella lingua: da parte una moneta borghese in cui la moderazione è essenzialmente una riserva di valore e dall’altra la lingua della folla che ricorda i rubli all’inizio degli anni ’90.
Anche per le parole vale il principio che la moneta cattiva scaccia quella buona: le élite culturali sono sempre più distinguibili e separate dal popolino, mentre giornalisti e opinionisti diventano cambiavalute tra i due sistemi.
È essenzialmente questo il modo in cui il sistema Grillo acquisisce il suo potere: drena il valore delle parole dal sistema inflazionando il mercato con un’offerta di violenza comunicativa senza precedenti. Per ottenere il silenzio delle menti, si produce il rumore assoluto. Quando la marea si ritira, non rimangono che urla, strilli e strepitii privi di significato. Infine, l’esercito di Mordor si mette in marcia al ritmo di Ro-do-tà, ro-do-tà, ro-do-tà…