Scrive Giuseppe Granieri su La Stampa che il problema degli intellettuali che non capiscono l’interwebs starebbe nello shift di paradigma da una cultura condotta top-down da pochi illuminati verso un approccio in cui l’onere di metabolizzare le informazioni è largamente condiviso.
Il problema di questa impostazione è che dà ottimisticamente per assodato che «tutti dobbiamo acquisire le competenze necessarie per imparare a trovare quel che ci serve». E non solo a trovare ciò che ci serve, ma a capire ciò che ci serve, senza che ce lo dica qualcun altro. Bello, ma se ciò non avviene, cosa succederà?
La scommessa, perché di scommessa si tratta, e non certezza, del Granieri-pensiero è che il risultato netto di questa eliminazione dell’ipse dixit sia complessivamente positivo. Gli intellettuali analogici, come li chiama lui, per la maggior parte non sono degli ignoranti digitali, è solo che danno un’occhiata alle statistiche sull’analfabetismo di ritorno citate da De Mauro e non riescono ad essere così ottimisti e faticano a concepire l’idea della trasmissione culturale per osmosi, senza kung-fu.
A me pare che questa scelta di allungare il vino con l’acqua per permettere un sorso a tutti non stia producendo i risultati sperati. In economia, quando si inflaziona il mercato con offerta di moneta a basso costo, si genera una distorsione dovuta alla proliferazione di attività economiche improduttive, che consumano risorse ma non aggiungono alcun valore reale. In termini tecnici si chiama ciclo “boom-bust”, bolle che si gonfiano fino a scoppiare. Ho la netta impressione che a livello culturale stiamo gonfiando una bolla di cui beneficiano principalmente le equities di Amazon e non abbiamo ben chiaro come si concretizzerà il bust.
In definitiva, per essere un intellettuale devi saper riconoscere un intellettuale: chi è senza cultura non è in grado di apprezzarla se la incontra. Quello che Granieri non chiarisce è come si supera questa fase di bootstrap. Nella storia dell’alfabetizzazione il contributo principale alla diffusione della cultura alle masse non si è determinato abbassando i costi di accesso ai media, ma attraverso l’istruzione obbligatoria. In pratica per fare la rivoluzione culturale con dei risultati apprezzabili è stata necessaria la coercizione.
Purtroppo ultimamente sull’istruzione non abbiamo potuto contare: la bolla della knowledge-for-everybody si è alimentata gonfiando artificialmente la durata del percorso di studi. Del resto, se l’università sforna dei leader, basta dare a tutti una laurea e avremo una nazione di leader, giusto? Peccato che ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno: negli USA la bolla dei prestiti studenteschi, qui in Italia la disoccupazione giovanile record, sono segnali che abbiamo inflazionato il mercato con promozioni facili, conversioni creative di crediti e corsi di laurea in aromaterapia.
Falliremo? Non lo so, ma vorrei che chi è ottimista mettesse sul piatto una teoria un po’ più corposa di «vedrete che la mano nascosta del mercato risolverà il problema», perché è evidente che l’ignoranza è un’esternalità che genera grosse inefficienze.
P.S.: non riesco proprio a capire come si possono considerare intellettuali quelli che sdoganano la maleducazione secondo il ragionamento «se ruttano a casa loro, possono farlo anche in pubblico, che differenza c’è?».